Cari amici
lettori,
oggi vi parlo di FIGLIA DEL TEMPORALE di Valentina D’Urbano, uscito lo scorso 24 settembre per Mondadori. Una storia intensa, carnale e necessaria che scava nelle radici più profonde dell’identità, della libertà, del corpo e del desiderio. Ambientata in un'Albania sospesa tra dittatura, tradizione e superstizione, la vicenda di Hira – o Mael – è un grido sommesso ma inarrestabile contro ogni imposizione.
Titolo: Figlia del temporale
Autrice: Valentina D'urbano
Genere: Narrativa contemporanea
Editore: Mondadori
Uscita: 24 settembre 2024
Pagine: 312
È il 1974, Hira ha tredici anni ed è appena rimasta orfana. Deve lasciare la sua città, Tirana, e la casa in cui è cresciuta per raggiungere gli unici parenti disposti ad accoglierla. La famiglia dello zio Ben vive in un villaggio sui monti nel Nord del paese, una piccola comunità di pastori che sembra cristallizzata nel tempo, dimenticata persino dal regime comunista che da trent'anni tiene in scacco l'Albania. Lassù si vive ancora secondo i dettami del Kanun, il codice tradizionale della montagna. Piano piano Hira si adatta alla sua nuova vita: dalla cugina Danja impara a fare il bucato al fiume e a occuparsi degli animali, dal cugino Astrit a orientarsi nel bosco e a camminare in silenzio per ore. Astrit ha smesso di parlare quand'era bambino, da allora si esprime a gesti e ogni tanto sale sulle montagne e sparisce per giorni. Per questo al villaggio lo considerano strano, una specie di animale selvatico. Crescendo, Hira e Astrit trovano una lingua tutta loro per capirsi, fatta di sguardi, carezze e morsi che a volte sembrano baci. Quando a Hira viene imposto un matrimonio combinato, sceglie l'unica via di fuga ammessa dalla legge della montagna: rinunciare alla propria femminilità e diventare una burrnesh, una vergine giurata. E così a vent'anni prende il nome di Mael: si veste come un uomo, lavora come un uomo, beve e fuma come un uomo. L'intero villaggio la tratta - e la rispetta - come un maschio. Diversamente dai maschi, però, deve rimanere sola e casta. Eppure sotto la pelle di Mael talvolta riaffiorano, ribelli e vitali, i desideri e le emozioni di Hira. A quanta parte di ciò che siamo possiamo rinunciare per inseguire una vita che ci appare più libera? E di cosa è fatta quella libertà se non possiamo essere noi stessi alla luce del sole?
Come i suoi personaggi, Valentina D'Urbano non ha paura di oltrepassare limiti e confini, di farsi domande dolorose e di cambiare pelle per rimanere fedele a se stessa.
Lo so… ho aspettato fin troppo prima di aprire questo libro che ho desiderato per mesi. È rimasto lì, sul mio comodino, come un segreto prezioso, in attesa del momento giusto. Non volevo leggerlo di fretta: volevo concedergli spazio, attenzione, silenzio. Volevo immergermi completamente tra le sue pagine, lasciarmi trasportare senza distrazioni. E finalmente l’ho fatto, entrando in questa storia straordinaria, capace di toccare corde che solo Valentina D’Urbano sa far vibrare.
Con questo romanzo, l’autrice si conferma, ancora una volta, non solo la mia preferita, ma una delle penne più autentiche, potenti e profonde del panorama letterario contemporaneo italiano.
Valentina ha una dote rara: riesce a trasformare la parola scritta in carne, sangue e respiro. E in Figlia del temporale, questa sua capacità si eleva a un livello superiore.
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“ Io lo so da sempre, da quando ti ho visto. Tu sei come me. Siamo figli del temporale.”
Hira ha tredici anni quando perde i genitori e viene costretta a lasciare Tirana, la città in cui è nata, per trasferirsi in un minuscolo villaggio di montagna nel Nord dell'Albania. È il 1974, il paese è ancora sotto il giogo del regime comunista, ma in quelle terre aspre e isolate la politica sembra distante. A comandare, più che lo Stato, è il Kanun, un codice antico di onore e sangue, dove ogni gesto ha un peso, ogni trasgressione ha un prezzo.
Nel nuovo mondo in cui si ritrova, Hira non è più una ragazzina di città, ma una bocca in più da sfamare, una futura sposa da piazzare. Vive con lo zio, la zia e i cugini, adattandosi pian piano alla rudezza della vita montana. Tra loro, c’è Astrit, un ragazzo silenzioso, chiuso nel suo mondo, che non parla da quando era bambino. Eppure, proprio con lui, Hira crea un’intimità nuova, profonda, fatta di carezze, silenzi e gesti pieni di significato. Una lingua propria, che non ha bisogno di parole.
"Chissà come si viveva dentro a quel silenzio, se avrei imparato a capirlo."
Ma il villaggio non concede tregua: quando Hira raggiunge l’età per sposarsi, la sua sorte viene decisa senza che le venga chiesto nulla. Di fronte all’imposizione di un matrimonio combinato, che la inchioderebbe a una vita prestabilita e soffocante, la ragazza sceglie l’unica forma di ribellione che le è consentita: diventare una burrnesh, una “vergine giurata”. È una decisione estrema, che le promette una libertà solo apparente: in cambio di una parvenza di rispetto e di una fragile indipendenza, Hira deve rinunciare per sempre a essere donna, a essere guardata con desiderio, a desiderare a sua volta.
Così nasce Mael. Un nuovo nome per proteggersi, un nuovo corpo sociale in cui muoversi, un ruolo che le permette di sopravvivere ma che la costringe a seppellire una parte di sé. Agli occhi di tutti diventa un uomo, e come tale viene trattata: con il peso delle aspettative maschili, ma anche con i privilegi negati alle donne del villaggio. Eppure, sotto la pelle, l’anima di Hira continua a vibrare, a cercare spazio, a ricordare. Perché le scelte radicali, per quanto definitive possano sembrare, non cancellano i bisogni più profondi, non spengono il fuoco del passato. Il cuore di Hira non ha dimenticato chi era, né chi ha amato, e in quel ricordo si annida la parte più fragile e più vera di sé, pronta a riaffiorare nonostante ogni maschera.
" Dentro di me qualcosa di invincibile si ribellava, rompeva gli argini, esondava, mi impediva di piegarmi. Avrei dovuto andarmene. Sparire, rinunciare a me stessa, in un modo o nell'altro."
Hira/Mael è senza dubbio uno dei personaggi più intensi e complessi che Valentina D’Urbano abbia mai scritto. La sua non è una trasformazione simbolica, ma concreta, imposta dalle circostanze, accettata con forza e dolore insieme. Non c'è eroismo nella sua decisione, né provocazione: solo sopravvivenza. Eppure, proprio per questo, il suo percorso diventa una potente riflessione su cosa significa essere sé stessi in un mondo che ti definisce solo in base a ciò che sembri. È una storia in cui il corpo diventa al tempo stesso rifugio e prigione, e in cui ogni gesto quotidiano è una scelta di adattamento. La scrittura di Valentina restituisce con lucidità e delicatezza il peso di questa metamorfosi, senza mai indulgere nel patetico, ma mostrando la dignità silenziosa di chi continua a vivere anche quando ogni cosa sembra negarlo.
"La decisione era stata naturale, pratica, priva di struggimento. Hira se n'era andata in quelle settimane, era svanita piano, l'avevo sepolta dolcemente dentro di me, l'avevo già messa a dormire."
Astrit, il cugino silenzioso, è un altro personaggio indimenticabile. Non parla, ma comunica. È considerato strano, forse rotto, ma in realtà è colui che più di tutti riesce ad accogliere Hira per quello che è. Il loro rapporto è uno dei punti più toccanti del romanzo: una relazione fatta di comprensione, desiderio trattenuto, pelle e sguardi. Non si tratta solo d’amore: è una forma di riconoscimento reciproco, un appiglio in un mondo che non perdona.
"Non avrei confessato che Astrit con me parlava, che aveva una voce che sembrava un coltello che gratta la pietra, che però m'ero già abituata, che mi era diventata necessaria, come tutto di lui."
L’ambientazione non è un semplice sfondo, ma un elemento vivo della narrazione. Il villaggio albanese in cui si svolge gran parte della storia è un luogo quasi mitico: fermo nel tempo, sospeso tra la pietra e il vento, scolpito dalle leggi non scritte. Un posto dove il paesaggio detta il ritmo della vita, e dove le donne camminano a testa bassa, i bambini crescono in fretta e i segreti si seppelliscono sotto la neve.
Valentina D’Urbano riesce a rendere palpabile ogni elemento: il freddo pungente delle mattine d’inverno, il rumore dei passi nella neve, il fumo acre che esce dalle stalle. Tutto è descritto con realismo e poesia, in un equilibrio perfetto tra documentazione storica e forza narrativa.
Chi conosce la scrittura di Valentina D’Urbano sa che ci si può aspettare una prosa tagliente, viscerale, intensa. Ma in questo romanzo lo stile si arricchisce ulteriormente: c’è una maturità nuova, un passo narrativo ancora più sicuro, capace di alternare momenti di lirismo struggente a dialoghi secchi, incisivi, che scavano nel profondo.
Le descrizioni non sono mai eccessive, mai inutili e riescono a restituire perfettamente l’atmosfera emotiva e fisica in cui si muovono i personaggi. Ogni parola è necessaria, ogni frase porta peso. Valentina scrive con la pelle, e chi legge sente sulla propria quella stessa elettricità che precede un temporale.
Figlia del temporale è una storia che non consola. Ci sono momenti di struggimento, ma anche tanta durezza. L'autrice non edulcora mai il dolore della sua protagonista, né il peso delle sue scelte. Ma proprio per questo il romanzo riesce a farsi specchio: ci costringe a guardarci dentro, a chiederci quanto siamo disposti a perdere per sentirci liberi, cosa siamo disposti a sacrificare per essere riconosciuti.
È anche un romanzo sul desiderio: desiderio di tocco, di sguardo, di possibilità. E sul corpo, come prigione o come campo di battaglia. Hira si traveste da uomo per sopravvivere, ma non può cancellare i bisogni più profondi, quelli che nessuna legge o giuramento può mettere a tacere.
Con Figlia del temporale, Valentina D’Urbano firma uno dei suoi romanzi più maturi, coraggiosi e necessari. È un libro che attraversa il lettore con la forza di una verità taciuta troppo a lungo. Parla di donne, ma anche di tutti coloro che si sono sentiti imprigionati in un ruolo, in una definizione, in una pelle non scelta.
È un romanzo sull’identità, sull’amore impossibile, sul coraggio delle rinunce. Ma è anche, sorprendentemente, una storia che vibra di vita, di istinto, di resistenza.
Lo consiglio a chi ama le storie forti, dense, scomode. A chi non cerca lieti fine, ma domande vere. A chi crede che la letteratura serva, tra le altre cose, a restituire voce a chi per troppo tempo è stato costretto al silenzio.
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