Cari amici lettori,
oggi vi parlo di FINCHÉ SAREMO FIORI SUL FIUME, romanzo d'esordio di Karissa Chen, uscito il 24 giugno per Garzanti, che ringrazio per avermi inviato una copia cartacea. Un libro profondo e struggente che si snoda lungo decenni di storia, tra rivoluzioni, separazioni e migrazioni, attraverso gli occhi di due anime legate da un amore nato nell'infanzia e mai davvero spento. Un romanzo che parla di casa, di identità, e di quanto sia difficile lasciarsi alle spalle ciò che ci ha formati.
Preparatevi a un viaggio emozionante tra Shanghai, Hong Kong e Los Angeles, alla scoperta di ciò che resta quando tutto cambia.
Titolo: Finchè saremo fiori sul fiume
Autrice: Karissa Chen
Editore: Garzanti
Genere: Historical romance
Uscita: 24 giugno
Pagine: 464
Siamo nella Shanghai degli anni Trenta, in una Cina sull’orlo del caos, spaccata tra ideali, rivoluzioni e guerre civili. Tutto comincia con un violino e il suono di una melodia malinconica che unisce, in un giorno qualunque, due bambini molto diversi tra loro: Suchi, figlia di un libraio patriota e sovversivo, e Haiwen, appena arrivato in città con la famiglia benestante. Il loro primo incontro ha la delicatezza di qualcosa che ancora non sa quanto diventerà importante. Inizialmente è solo un'amicizia, tenera, pura, ma destinata a crescere insieme a loro, a trasformarsi in un amore profondo, nonostante le barriere sociali, il caos politico e il destino che sembra volerli separare a ogni costo.
Quando la guerra esplode in tutta la sua violenza, le vite di Suchi e Haiwen vengono stravolte. Lui si arruola nell’esercito nazionalista, senza avvertire nessuno, portando con sé una promessa e una colpa. Lei fugge con la madre a Hong Kong. Ma le loro anime restano collegate: attraverso il ricordo, una lettera, il suono del violino lasciato in eredità, e una promessa sussurrata tra le pagine del tempo.
Il tempo li separa per sessant’anni. E poi li riunisce, a Los Angeles, nel 2008. Suchi è ormai nonna, emigrata negli Stati Uniti per aiutare la figlia con i bambini. Haiwen, vedovo e solo, vive con il peso dei ricordi. Ma quando si rincontrano, qualcosa si riaccende. Non la nostalgia — troppo fragile — ma qualcosa di più profondo: il senso di “casa”.
È questa l’essenza del romanzo. La casa non è un edificio o una città. È un ricordo. Un profumo. Un nome. Un amore che non muore.
Quello che colpisce di più di questo romanzo è l’intensità dei suoi personaggi. Suchi è una bambina vivace, curiosa, con la testa piena di libri e di ideali, cresciuta tra le parole del padre e le ingiustizie del mondo che le piovono addosso. Haiwen, invece, è più riservato, quasi fragile all’inizio, ma la guerra lo costringe a diventare uomo troppo presto.
Entrambi portano sulle spalle il peso di scelte più grandi di loro, e il modo in cui l’autrice ne racconta la crescita, la trasformazione e le ferite li rende estremamente reali. Non sono eroi, sono anime divise tra amore e dovere, tra sogni e realtà.
Questo espediente non è solo originale, ma profondamente significativo: Suchi è diventata dura, guarda solo avanti, ha imparato a non voltarsi indietro. Haiwen, invece, si aggrappa ai ricordi come ad un’àncora, cerca nel passato le tracce di ciò che ha perso. Entrambi, in modo diverso, sono sopravvissuti alla Storia. Ma nessuno dei due è uscito indenne.
Il libro attraversa Shanghai, Taiwan, Hong Kong, e infine gli Stati Uniti. L’ambientazione è uno dei grandi punti di forza del libro. Karissa Chen non si limita a descriverli, ce li fa vivere. Si sente l’odore del carbone bruciato, delle spezie nei mercati, si avverte la tensione politica che si insinua nelle strade. Ogni luogo ha un'anima, ogni città racconta un pezzo della storia dei protagonisti.
Ovunque vadano, Suchi e Haiwen portano con sé una nostalgia che non li lascia mai. La scrittura riesce a rendere tangibile quel senso di “casa fantasma” che accompagna ogni migrante: la sensazione di appartenere a un luogo che non esiste più, o che non esiste mai stato davvero.
Il dolore dell’esilio non è solo geografico, ma identitario. Suchi diventa Soukei a Hong Kong, costretta da un marito violento a cambiare nome e lingua. Haiwen diventa Howard in California, per rendersi “pronunciabile” agli americani. Ma con il cambio di nome, si perde un pezzo di sé. Eppure, come la musica che li ha uniti da bambini, qualcosa resiste. Qualcosa di intimo, segreto, indistruttibile.
L’autrice non ha paura di scavare nel trauma, di mostrare le ferite della guerra, della violenza domestica, della migrazione forzata. Ma lo fa con uno sguardo umano, mai pietoso. I personaggi non sono vittime, ma sopravvissuti. E anche nei momenti più duri, la sua scrittura sa accarezzare. Le emozioni non vengono urlate: sono sussurrate e lasciano il segno.
Karissa Chen ha scritto un libro profondo e intimo. È una storia che parla a tutti quelli che si sono sentiti fuori posto, che hanno perso qualcosa lungo la strada, che portano dentro una nostalgia difficile da spiegare. È un libro che parla di famiglia, di memoria, di ciò che resta anche quando tutto è cambiato.
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