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martedì 26 maggio 2020

Recensione in Anteprima "Where The Lost Wander" di Amy Harmon




Cari lettori,

oggi la nostra Dana ci parla in anteprima di "Where The Lost Wander" di Amy Harmon, uscito in lingua lo scorso 28 aprile. Una storia epica e inquietante ambientata sull'Oregon Trail, una famiglia e il suo improbabile protettore si fanno strada attraverso il pericolo, l'incertezza e la perdita.





Titolo: Where The Lost Wander 
Autrice: Amy Harmon
Genere: Historical romance
Uscita: 28 aprile


The Overland Trail, 1853: Naomi non si sarebbe mai aspettata di rimanere vedova a vent'anni. Desiderosa di lasciarsi alle spalle il dolore, parte con la sua famiglia per una vita verso ovest. Sul sentiero, crea una connessione istantanea con John Lowry, un uomo mezzo Pawnee a cavallo tra due mondi e sconosciuto in entrambi.

Ma la vita in un vagone è piena di difficoltà, paura e morte. Anche se John e Naomi sono attratti l'uno dall'altro, le prove del viaggio e il loro passato diverso giocano per tenerli separati. L'eredità di John li fa guadagnare un passaggio sicuro attraverso un territorio ostile solo per incrociarsi mentre cercano di costruire una vita insieme. 

Quando un'orribile tragedia colpisce, decimando la famiglia di Naomi e separandola da John, le promesse che si sono fatti sono tutto ciò che si lasciano. Strappati, non possono tornare indietro, non possono andare avanti e non possono lasciare andare. Entrambi dovranno fare terribili sacrifici per trovarsi, salvarsi e infine ... fare pace con chi sono.










La primavera del 2020 me la ricorderò sempre come il momento in cui il mondo si è fermato.

Per settimane, per mesi, il rumore di fondo del traffico che di solito arriva alle nostre finestre è scomparso. Per i lettori il silenzio non è una cosa sconfortante, di solito, perché ci dà la possibilità di goderci senza interferenze i nostri amati libri. Invece questa volta il silenzio mi ha distratto. Per molti giorni mi è stato molto difficile perdermi tra le pagine. Ho iniziato tanti libri e li ho abbandonati subito perché la mia mente vagava altrove. Capita tante volte di avere la crisi del lettore, ma questa volta mi è pesato davvero tanto finché non mi è arrivato tra le mani Where the Lost Wander di Amy Harmon

La storia di Naomi May e John Lowry mi ha dato una mano a rivedere tutto in prospettiva.

Ogni epoca ha i suoi flagelli. Ogni popolo ha la sua ora buia. Seguire il viaggio doloroso e interminabile di questi coloni americani lungo l’Oregon Trail, la Pista dell’Oregon,  mi ha fatto riflettere sull’approccio alla realtà della società contemporanea. Fino a qualche giorno fa ci sembrava normale impiegare poche ore per andare da una parte all’altra del pianeta.

Sembra un tempo lontano anni luce, eppure è passato poco più di un secolo da quando servivano mesi per percorrere le stesse distanze. Non siamo più abituati a tempi dilatati. All’attesa di una lettera per settimane, mesi. C’è stato un tempo in cui partire e andare all’altra parte del mondo significava non tornare più e non rivedere mai più le persone che si lasciavano indietro, ma a noi adesso sembra impensabile.

Where the Lost Wander trasmette tutto questo con il racconto di un viaggio verso la promessa di un sogno seguendo l’Oregon Trail , la strada tracciata dai pionieri, che dal 1841 al 1869 fu usata come rotta per i coloni e cowboy per attraversare il continente nordamericano da est a ovest. In realtà questa famosa pista era per lo più rappresentata semplicemente dai solchi lasciati dai carri sul suolo.

Su quelle terre selvagge sono passate tante storie e la Harmon ci racconta quella di Naomi May, una giovane vedova di vent’anni che nel 1853 si mette in viaggio insieme ai suoi genitori e ai suoi quattro fratelli dal Missouri con l’intenzione di raggiungere la California. Un viaggio così pieno di rischi non si intraprende da soli, perché sarebbe pura follia e i May si accodano alla carovana guidata da Grant Abbott insieme a suo nipote John Lowry, che li accompagna occupandosi dei muli e asini che lui addestra e vende.

Naomi aveva sposato il suo amico d’infanzia e il suo matrimonio era nato sulla base dell’amicizia e della necessità, perché era naturale in quel periodo pensare che la vita potesse essere affrontata solo se divisa con qualcun altro, così come era piuttosto comune perdere il proprio sposo. La morte può arrivare in qualsiasi momento per chiunque. A causa di una malattia o per un attacco di una tribù indiana nemica o anche semplicemente per il furto di un capo di bestiame che in una terra lontana dalla legge è motivo sufficiente per giustificare l’esecuzione di uomo. Durante i mesi di viaggio lungo l’Oregon Trail molte sono le perdite di vite umane ad opera della natura o di altri esseri umani. Eppure non ci si può mai soffermare nel piangere i morti. Bisogna andare avanti ed è proprio questo che fa la protagonista.



All’inizio ho fatto fatica a comprendere la rapidità con cui Naomi si rassegna alla perdita del marito e la determinazione con cui cerca di rifarsi una vita. Dal primo momento in cui posa gli occhi su John Lowry sa che lo vuole. John ha solo qualche anno più di Naomi ma ha già vissuto due vite. La prima, nella sua infanzia, con i pellerossa Pawnee, la tribù di sua madre che in seguito alla sua morte lo esilia. La sua seconda vita comincia con suo padre, un “bianco” che porta il suo stesso nome e lo accoglie nella sua casa e nella sua famiglia. John è cresciuto tra due culture ma mai veramente a casa da nessuna parte. Anche il suo nome pellerossa, Two Feet, Due Piedi, gli ricorda che è estraneo ovunque vada. Il suo stesso aspetto lo tradisce rivelando sul suo volto l’appartenenza a due mondi in conflitto tra di loro e John ha imparato a non fidarsi , a restare in disparte, a non affezionarsi, per questo dubita dell’affetto maldestro del padre e ancor più di quello tenero e inaspettato della sua matrigna. Per questo non si fa illusioni quando incrocia lo sguardo di Naomi e sente nascere a sua volta un’attrazione fortissima. 





Naomi con il suo spirito indomito e il suo coraggio non ha paura di dire all’uomo che ha catturato la sua attenzione che lo vuole. John cerca di scoraggiarla perché sa bene che a dispetto della sua educazione ” bianca” sarà sempre visto come un intruso, così come era fuori posto anche nella tribù Pawnee. Sua madre prima di morire lo aveva affidato al padre nella convinzione che pur essendo accolto con riserve nella comunità bianca, avrebbe avuto comunque più possibilità di sopravvivenza lì. E John sopravvive, cercando in qualche modo di essere invisibile e sapendo di essere tollerato più che accettato, sapendo che la sua sfida più grande consiste nel saper resistere all’ostilita più o meno palese che proviene da ciascuno dei due mondi a cui appartiene. Per questa ragione si difende dall’interesse di Naomi e mantiene le distanze, scegliendo di ignorare la lezione che la sua matrigna Jennie ha cercato di insegnargli e cioè che l’amore è sofferenza ma che se c’è una cosa per cui vale la pena soffrire e proprio quella. L’amore è un lusso che John pensa di non potersi concedere, soprattutto con una donna bianca. All’inizio è John ad essere perso tra le sue identità in conflitto mentre Naomi cerca di infondergli coraggio e fiducia per quel sentimento che sta nascendo e poi la situazione si capovolge e sarà lei a perdere la strada, colpita nella maniera più crudele dalla vita. C’è un posto dentro ognuno di noi in cui ci rifugiamo quando il dolore ha il sopravvento. È un luogo in cui si può guarire ma se ci restiamo troppo a lungo rischiamo di non trovare la via d’uscita. 



Where The Lost Wander racconta di una storia d’amore, certo, ma prima di tutto è una storia di resilienza, di adattamento alle prove della vita. Il viaggio è il vero protagonista di questo libro. I primi tre quarti del libro sono uno sguardo ampio su tutta l’impresa ingaggiata da circa cinquanta famiglie, che a bordo di carri trasportano tutti i loro averi, con al seguito il bestiame da cui dipende la loro sopravvivenza. Anche se al centro di tutto ci sono i May, la famiglia di Naomi, l’autrice ci consegna un vivido scorcio di un’epoca non troppo lontana e che ha forgiato quella che è la moderna società americana. Per farlo in maniera convincente non può restare concentrata sui singoli più di tanto e racconta di questo fiume di uomini coraggiosi o semplicemente disperati che attraversano una terra selvaggia e ostile per conquistare il proprio pezzetto di terra.

La ricostruzione storica fatta dalla Harmon è minuziosa e convincente. Anche dal punto di vista linguistico ha fatto un lavoro notevole per ricreare sotto tutti i punti di vista un quadro veritiero del periodo e degli eventi che descrive. Se devo fare una critica è che la descrizione estremamente dettagliata del lungo viaggio mette a volte un po' in ombra i protagonisti. Non che non si arrivi a conoscerli, perché attraverso tutte le peripezie che devono affrontare non avranno modo di nascondersi all’occhio del lettore ma in certi casi mi è mancata la vicinanza con i loro pensieri, il contatto con i loro sentimenti più intimi. Le prove a cui sono sottoposti i personaggi sono davvero tra le più dure che le persone possano affrontare, eppure nei momenti più intensi lo sguardo dell’autrice si allontana dalla scena, quasi per pudore di assistere al tracimare delle emozioni. Per me che ho bisogno di sentirmici trascinata dentro è stato un po' deludente da questo punto di vista, ma resta comunque una lettura intensa e coinvolgente.

Leggendo Where The Lost Wander non ho potuto fare a meno di raffrontare quei coloni del 1800 con gli americani di oggi e non stupisce che l’approccio aggressivo, anche brutale nei confronti della vita e dei problemi non si sia attenuato. Il pioniere pronto a imbracciare il fucile è ancora vivo e vegeto nei loro istinti e nel modo di pensare. Non dovrebbe sorprendere se per prepararsi ad una pandemia in Europa si è fatta la corsa nei supermercati per fare scorta di cibo e invece negli Stati Uniti si sono precipitati a comprare armi come se quella violenza che li ha fatti sopravvivere nella conquista di quella terra, non avesse ancora avuto il tempo di decantare.

È affascinante e allo stesso tempo inquietante vedere in che modo ogni popolo si approccia ai problemi in maniera diversa. Mi hanno colpito diverse similitudini che ho potuto cogliere con i tempi che stiamo vivendo e non solo riguardo agli Stati Uniti ma a tutto il mondo.

Nel libro della Harmon la gente viene decimata dal colera, la lotta per sopravvivere inasprisce la diffidenza tra i popoli, le frontiere sono la linea di demarcazione tra la vita e la morte. La morte che incombe spinge a riconsiderare le priorità e capire importanza dei beni essenziali rispetto ai beni accessori. Su tutto domina l’egoismo che appartiene purtroppo ad ogni epoca. Per quanta strada abbiamo fatto, resta dentro di noi uno spietato istinto primitivo che un po' ci tiene in vita e un po' ci fa perdere l’occasione di essere persone migliori.

La storia di John e Naomi mi ha colpito molto non solo per la forza dei loro caratteri e per la loro capacità di resistere e rialzarsi dopo essere stati duramente colpiti, ma anche perché riescono ad identificare molto bene quella parte sana dell’umanità che a dispetto di tutte le nostre mancanze, riesce a non soccombere e a creare invece che a distruggere.







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