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giovedì 26 marzo 2020

Recensione "Quello che abbiamo in testa" di Sumaya Abdel Qader

Cari lettori,

oggi Noemi ci parla del romanzo "Quello che abbiamo in testa" di Sumaya Abdel Qader, uscito lo scorso 12 novembre grazie a Mondadori. Venite a conoscere la storia di Horra attraverso le parole di Noemi...


Buona Lettura!


Titolo: Quello che abbiamo in testa
Autrice: Sumaya Abdel Qader
Editore: Mondadori
Genere: Narrativa contemporanea
Uscita: 12 novembre 2019
Pagine: 252


Horra, un’italiana di nemmeno quarant’anni, figlia di giordani musulmani, vive a Milano con il marito che la adora e le due figlie adolescenti che più diverse l’una dall’altra non potrebbero essere. La sua non si può proprio definire una vita noiosa, anzi. Come potrebbe, visto che, da perfetta equilibrista, divide le sue giornate tra la famiglia, il lavoro come segretaria in uno studio di avvocati, l’università, che è a un passo dal terminare, il volontariato, le preghiere e le discussioni in moschea, e il suo variopinto ed eterogeneo gruppo di amiche? Eppure, nonostante la fatica e i piccoli problemi quotidiani, nonostante la malinconia per la parte di famiglia che vive lontana, Horra non può che sentirsi serena, felice persino.

Ma un giorno, un fatto apparentemente di poco conto ha su di lei l’effetto di uno tsunami. Perché quando, come lei, sfuggi alle classificazioni, quando vivi al confine tra due mondi, quello occidentale e quello orientale, che faticano a riconoscersi tra loro e a riconoscerti, facendoti sentire marziana, estranea, galleggiante, allora inizi a chiederti che cosa significhi davvero essere “liberi”. A maggior ragione se il tuo stesso nome in italiano significa proprio questo, “Libera”.

E così, nei mesi che vengono raccontati in questa storia, tra gioie quotidiane e piccole sconfitte, incontri fortunati e discussioni accese, Horra cercherà di trovare una risposta ai suoi tanti dubbi per riuscire a sentirsi, forse per la prima volta in vita sua, davvero fedele a se stessa.





Cari lettori,

oggi è tempo di un’altra collaborazione che avevo iniziato già da un po’ e di cui finalmente (e sottolineo FINALMENTE) riesco a parlarvene in questa mia recensione.

Ho iniziato questo libro ad occhi chiusi, senza leggere la trama, ma ero molto curiosa:

la copertina e il titolo mi hanno stregata. Forse però l’ho letto con delle aspettative troppo alte ed alla fine sono rimasta un po’ delusa.

Horra è la protagonista di questo romanzo ambientato a Milano, il suo nome vuol dire libertà, e come lei stessa dice, un nome non facile da portare e ancor meno da rappresentare, perché non sempre la parola libertà vuol dire essere davvero liberi; perché a volte porta con sé anche limiti e contraddizioni dovuti alle persone che siamo, ai luoghi in cui viviamo.


Horra ci racconta, in questo romanzo, quei mesi in cui, attraverso la sua quotidianità fatta di alti e bassi, con uno sguardo al passato , è riuscita a scoprire il vero significato del suo nome e a riuscire ad essere davvero fedele a se stessa.




La sua quotidianità è fatta dalla sua famiglia, formata dal marito Munir, esemplare di uomo premuroso e adorabile, quarantenne, che fa l'agente immobiliare, Zena la primogenita, soprannominata la “maestrina “, 16 anni, appassionata di lingue, Hanaa, 14 anni, soprannominata la “stilosa”, appassionata d’arte e di moda, dalla madre Youssura, dalla sorella Layla e dal fratello Nadir, dalle amiche Manar, Vittoria, Lucia, Lubna e Lamia.

Impiega le sue giornate tra il lavoro part-time come segretaria in uno studio legale,( l’ansia di essere ad un passo dalla laurea in giurisprudenza che si fa sentire), il suo impegno in una associazione che aiuta le donne nel loro processo di emancipazioni, risolvendo problemi vari tra cui quello dell’occupazione.




Finché un giorno non succede qualcosa, un qualcosa che apre uno squarcio nella vita di Horra che la porta a pensare, pensare a quanta poca conoscenza del mondo musulmano c’è, a quanti stereotipi ci sono che non ci permettono di aprirci completamente al mondo orientale, a quanti residui arcaici nella loro cultura e religione ancora rimangono attaccati ad alcune persone.




L’uso del velo che noi “occidentali” non riusciamo a concepire come scelta ma pensiamo che sia un obbligo imposto alle donne dall’uomo e dalla religione, in realtà non è sempre così.




Oppure, che gli uomini sono sempre autoritari, che non hanno rispetto della donna e della sua opinione (Munir è l’esempio che l’uomo musulmano non è sempre così).


Questa romanzo è La storia di chi non demorde e ricostruisce dalle ceneri una nuova vita. La storia di una donna. Di quello che una donna può fare quando si mette in testa qualcosa. Un’idea. Una passione. Un velo che invece di pesare le permette di volare…..ma è anche la storia di chi ha un cuore che batte, che pensa, pur da sotto un velo colorato, e dice quello che abbiamo in testa.



Detto ciò, non vado oltre.

Lo stile dell’autrice è semplice, descrittivo quanto basta, molto fluido nella lettura, ci sono alcuni errori di traduzione/battitura ma niente che impedisce la lettura.

La trama è molto valida, in quanto da molti spunti di riflessione: quando si parla di una cultura diversa da quella Occidentale o comunque da quella Italiana c’è tanto da dire, eppure l’autrice ha colto i punti salienti, quei punti che ci hanno fatto da sempre sorgere dei dubbi. 





All’inizio la trama è molto lenta, o forse sono io che l’ho percepita così, proprio perché erano i capitoli iniziali, però poi ho notato che quando si arriva all’incirca al 15° capitolo diventa molto veloce con un susseguirsi di forse troppi “eventi” che qui aumentano e vanno a “stravolgere” la vita della protagonista. L’evento principale che dovrebbe travolgerla più di tutte all’inizio viene sviluppato ma poi cade nel dimenticatoio, per essere preso poi sotto forma di altro.

Il finale non lascia in sospeso, ma a mio parere è come se fosse “sbrigativo”, il “cerchio” si deve chiudere per forza, come un treno in corsa, la trama accelerata da tutti quei “problemi”, arriva alla stazione, e frena di botto.

Mi sento inoltre di aggiungere che a mio parere il libro è come un “diario” quasi quotidiano, è forse anche un po autobiografico perché si sente che in quelle pagine c’è molto dell’autrice.

Ora, calcolato il mio amore per tutto quello che medio-orientale, calcolati gli innumerevoli punti di riflessione e la trama comunque inusuale e molto bella e il fatto che darò un voto positivo, io credo che dovreste leggerlo.

Vi lascio con questa frase che mi ha colpito molto per far riflettere un po anche voi:





Ci dev’essere un terreno comune, delle parole condivise con le quali esprimersi e capirsi. Perché il solo modo di conoscersi e arricchirsi è navigare lo stesso mare, proprio com’era stato il Mediterraneo per arabi e siciliani.



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