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mercoledì 3 marzo 2021

Recensione "Tutto chiede salvezza" di Daniele Mencarelli



Cari lettori,

oggi vi parliamo del romanzo "Tutto chiede salvezza" di Daniele Mencarelli, uscito il 25 febbraio 2020 pre Mondadori e vincitore Premio Strega Giovani 2020. Una intensa storia di sofferenza e speranza, interrogativi brucianti e luminosa scoperta che potete scoprire attraverso le parole della nostra Noemi...


Buona lettura!




Titolo: Tutto chiede salvezza
Autore: Daniele Mencarelli
Editore: Mondadori
Genere: Narrativa
Uscita: 25 febbraio 2020
Pagine: 204, rilegato


Ha vent'anni Daniele quando, in seguito a una violenta esplosione di rabbia, viene sottoposto a un TSO: trattamento sanitario obbligatorio. È il giugno del 1994, un'estate di Mondiali. Al suo fianco, i compagni di stanza del reparto psichiatria che passeranno con lui la settimana di internamento coatto: cinque uomini ai margini del mondo. Personaggi inquietanti e teneri, sconclusionati eppure saggi, travolti dalla vita esattamente come lui. Come lui incapaci di non soffrire, e di non amare a dismisura. Dagli occhi senza pace di Madonnina alla foto in bianco e nero della madre di Giorgio, dalla gioia feroce di Gianluca all'uccellino resuscitato di Mario. Sino al nulla spinto a forza dentro Alessandro. Accomunati dal ricovero e dal caldo asfissiante, interrogati da medici indifferenti, maneggiati da infermieri spaventati, Daniele e gli altri sentono nascere giorno dopo giorno un senso di fratellanza e un bisogno di sostegno reciproco mai provati. Nei precipizi della follia brilla un'umanità creaturale, a cui Mencarelli sa dare voce con una delicatezza e una potenza uniche.








Cari lettori,

Sono felice di comunicarvi che ho trovato il primo libro del 2021 da 5 stelline. Parto all’inverso, dicendo prima il voto, cosi sapete già cosa aspettarvi. È uno di quei romanzi di cui difficilmente si riesce a parlare “liberamente”: senza sentire un peso sul petto, un’angoscia tale da farti rimanere senza respiro. È una storia che inevitabilmente ti rimane “attaccata”, come quando entri in un posto, in punta di piedi per non disturbare, un posto che ha un odore particolare magari, che ti può piacere oppure no, quando esci da lì, sai che quell’odore te lo porterai a casa. Un po’ come l’odore di disinfettante negli ospedali, che permane nelle stanze, nei corridoi, ad alcuni piace perché fa pensare alle cure, alla speranza, ad altri no perché fa pensare alla sofferenza, alla morte.

Questo romanzo è come un odore, entri in un punta di piedi nel reparto di Psichiatria è l’ “odore” delle storie del protagonista Daniele e dei suoi compagni, pervade l’aria e ti rimane attaccato ai vestiti, ti rimane attaccato addosso.



“Salvezza. Questa parola non la dico a nessuno oltre a me. Ma la parola eccola, e con lei il suo significato più grande della morte. Salvezza. Salvezza per me. Per mia madre dall’altra capo del telefono. Per tutti i figli e tutte le madri. E i padri. E tutti i fratelli di tutti i tempi passati e futuri. La mia malattia si chiama salvezza, ma come?”


È martedì 14 giugno 1994, Daniele Mencarelli si risveglia dal “torpore chimico” nella stanza di ospedale del reparto di psichiatria (la sera prima il tragico evento e il brusco ritorno alla realtà in quella stanza d’ospedale); a svegliarlo più precisamente è Pino, uno degli infermieri, che di li a poco lo condurrà dal Dottore di turno quella mattina (che non sembra poi così disponibile come dovrebbe) e che gli spiega che da quel momento lui è in regime di TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio).

In sostanza per sette giorni, Daniele dovrà obbligatoriamente rimanere in ospedale, in quel reparto, a ricevere le cure “necessarie”.

In quel momento ritornano prepotenti l’ansia, l’angoscia e la voglia di ritornare a casa, dalla sua famiglia, da sua madre…..




Ma il nostro protagonista è costretto ad arrendersi e a ritornare in quella stanza, dove ad attenderlo ci sono persone che come lui, per motivi diversi, sono costretti a quel letto di ospedale e che per sette giorni diventeranno “compagni” di un pezzetto di vita.

Il primo ad avvicinarsi al letto di Daniele è Gianluca, definito come “l’uomo con urlo di ragazza”, infatti Gianluca è un uomo ma in realtà sente di essere una ragazza e si comporta come tale con una gioia e con ostentata civetteria che sembrano appartenergli da sempre; per tutta la fragilità e le debolezze che si porta dentro mi ricorda una bimba, una bimba imprigionata nel corpo di un uomo. Si trova anche lui lì per “’na stupidata”, come lui stesso la definisce, perché in realtà è “bòna come er pane”, TSO anche lui, gli altri pazienti sono tutti ricoverati….

È proprio Gianluca a presentare a Daniele il quadro della stanza:

Accanto alla finestra c’è Mario, con il suo uccellino sul ramo che nessuno sembra vedere, era un maestro di scuola elementare prima “d’ammattisse”, il letto a fianco a quello di Mario è occupato da Alessandro, che sembra essere stato inghiottito nel e dal nulla, è li fisicamente ad occupare un letto d’ospedale ma di lui resta solo quel corpo, infatti è catatonico, il letto successivo è quello di Gianluca.

Dal lato opposto dove c’è il letto di Daniele, c’è un letto vuoto, e poi un altro occupato da Madonnina, soprannominato cosi perché di lui non si sa niente, non parla se non a volte con la Madonna a cui urla la sua richiesta d’aiuto.

Presto a questi quattro uomini “feriti dalla vita”, se ne aggiungerà un altro, Giorgio, al quarto TSO dell’anno, che sulle braccia porta un’infinità di cicatrici, segno di una mancanza fin troppo dolorosa, che si porta dentro proprio come quell’ultima cicatrice ancora non cicatrizzata del tutto, proprio come quella foto in bianco e nero di sua madre che tiene nel portafogli logoro.




Non vi racconto fin in fondo del perché si trovano lì, bloccati in un limbo, chi nel presente, chi nel passato, chi nel futuro, in un certo senso, (come Daniele, , che riconosce la sua malattia come Salvezza, (accompagnata forse dalla parola morte, dalla paura che forse ne deriva, dai rimpianti e dal dolore che porta a sé e agli altri per quello che in un attimo può togliere, sottrarre?, e poi c’è la Tossicofilia derivante da un parere medico precedente), perché certi “odori” non possono essere descritti, vanno sentiti fin dentro al cuore, e poi rischierei di spoilerarvi il 30% del romanzo.







Piano piano, col passare dei giorni, questi 5 uomini diventeranno per Daniele quello che c’è di più simile a degli amici veri e propri, a una famiglia in cui si condividono gioie e dolori, impareranno a conoscersi, a riconoscere se stessi e la loro malattia.

Lo stile dell’autore è semplice, l’aggiunta di termini “romaneschi”, la trovo un tocco di freschezza alla narrazione, la narrazione stessa, a tratti, è quasi “cruda”, diretta al punto ecco, un po’ come quasi tutte le malattie del mondo che non guardano in faccia nessuno. Emerge la parte, forse, più intima dell’autore nello scorrere della trama, che viene raccontata quasi con urgenza.

È un libro che fa riflettere moltissimo, le emozioni sono tante e a volte ti “gela” il sangue per la sofferenza, per la malinconia, per i rimpianti che emergono dalle storie, e che bussano anche al cuore del lettore, che non può fare altro che accoglierli.









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